• dipende
  • Posts
  • Lo Stato vende parte di ENI 🇮🇹

Lo Stato vende parte di ENI 🇮🇹

Inoltre, il PIL è tornato ai livelli pre-crisi 📈

Buongiorno! Io sono Ale e questa è dipende, la newsletter che risolve tutti i tuoi dubbi sull'economia (per davvero!).

Di cosa parliamo oggi?

  • 🇮🇹 Il Governo cerca soldi e vende parte dei suoi asset;

  • 📈Il PIL italiano torna ai livelli del 2007

🇮🇹 Il Governo cerca soldi e vende parte dei suoi asset

Lo Stato ha deciso di vendere una quota importante di una delle sue partecipate:

ENI

Più nello specifico, l’Italia deteneva il 4,8% del capitale azionario della società in questione, portando la sua partecipazione ad un 2% ed incassando 1,4 miliardi di euro.

Ma quindi ENI non è più italiana?

No, ENI rimane una controllata dello Stato, infatti, sebbene il MEF ne controlli solo il 2%, CDP (Cassa Depositi e Prestiti), controllata dallo Stato, ne controlla il 28,5%.

Una considerazione da fare è se questa operazione di vendita sia stata una grande mossa o meno.

Il fattore positivo riguarda l’immediata disponibilità di risorse per le casse dello Stato, mentre, il fattore negativo è che il nostro Paese si sta privando di una parte di asset che ogni anno genera degli utili e conseguentemente dei dividendi che distribuisce agli azionisti (nel 2023 ENI ha raggiunto un utile di 4,7 miliardi).

Probabilmente un vantaggio politico di questa misura, dal punto di vista elettorale, è relativo al non dover tagliare la spesa e/o aumentare la pressione fiscale, cosa che altrimenti potrebbe far perdere consenso.

La vendita di partecipazioni statali è sintomo di conti pubblici in bilico.

Per non aumentare le tasse e/o ridurre la spesa, la leva che il governo sta portando avanti per “mettere in ordine” i conti in vista della valutazione della Commissione UE e delle nuove regole del Patto di Stabilità e Crescita sfocia nelle privatizzazioni.

Sicuramente si fa cassa, ma non è una soluzione sostenibile dal punto di vista finanziario e strategico per il nostro Paese.

Inoltre, per garantire stabilità dei conti pubblici, le nuove regole di bilancio UE prevedono che un Paese debba specificare l’andamento della spesa pubblica programmata per i successivi 5 anni. Il che implica due cose:

1) lungimiranza nella spesa (assente in Italia da decenni).
2) continuità di governo (assente in Italia da decenni).

Questo significa che bisogna garantire in una certa misura anche le entrate a copertura di tale spesa prevista. E, con ogni probabilità, le entrate straordinarie (come la vendita di quote del capitale di ENI) non sono una copertura sostenibile.

📈Il PIL italiano torna ai livelli del 2007

Il PIL dell’Italia è tornato ai livelli del 2007, creando un cauto ottimismo sulla solidità del nostro Paese…ma è davvero così?

Per quanto la notizia sia indubbiamente positiva, lascia molto a desiderare il fatto che il nostro Paese abbia impiegato 17 anni a risollevarsi dalla crisi finanziaria.

In particolare, è possibile notare come Francia e Germania siano tornati ai livelli precrisi già nel 2011, mentre la Spagna nel 2016.

La crisi legata alla pandemia del 2020 ha senza dubbio rallentato il processo di recupero del nostro Paese, ma è lecito chiedersi come sia possibile che siamo stati più lenti degli altri.

Cambiando anno di riferimento e prendendo un intervallo temporale più lungo le cose (purtroppo) non cambiano.

Rispetto al 2000, l’Italia è cresciuta del 9,6% mentre gli altri del 28%(Germania), 32%(Francia) e 44% (Spagna). Quindi, gli altri sono cresciuti di alcune decine di punti, mentre noi stentiamo a raggiungere la prima decina.

Una delle principali problematiche è la mancanza di un aumento della produttività totale dei fattori; Infatti, gli altri Paesi ci superano e negli ultimi anni hanno implementato politiche che stanno lentamente aumentando la loro produttività e competitività.

Credo di aver ripetuto tante (troppe) volte che la situazione economica italiana, considerati i tassi di crescita previsti, i livelli di deficit e debito pubblico e la rispettiva spesa per interessi, sia insostenibile.

Inutile ribadire che non c’è nulla da festeggiare se siamo tornati ai livelli di Pil pre crisi finanziaria dopo oltre 15 anni, mentre il resto delle economie (avanzate e in via di sviluppo) sono cresciute significativamente di più.

"Nel 2019, a parità di fattori impiegati, l'economia italiana è in grado di produrre l’11 per cento in meno di quanto producesse nel 1980" (dice l’Osservatorio sui conti pubblici italiani). 
E anche il PNRR di draghi nella prima pagina parlava di questo dato negativo tutto italiano. Si tratta quindi di un dato estremamente importante da considerare nella dinamica stagnante del Pil Italiano.

Nel frattempo, però, i nostri politici fanno finta di non vedere e continuano a vendere la favola della riduzione dell'orario di lavorativo a parità di salario. Che addirittura, come per magia, aumenterebbe la produttività!

Ecco perché, ad esempio, in Italia si lavorano mediamente più ore rispetto a quante se ne lavorano in Germania, e si guadagna relativamente meno. 

Perché siamo inefficienti e improduttivi.

Bisogna aumentare la produttività, e la produttività non aumenta per decreto. 

Può invece aumentare in altri modi, con investimenti in R&S, riforme strutturali, miglioramenti tecnologici e infrastrutturali, stabilità economica e politica. 

Temi che dovrebbero essere al centro del dibattito politico. 

Ma che a quanto pare alla classe politica italiana non interessano come il consenso elettorale che vogliono portare a casa. 

Alla prossima
Ale 💙

👀 Articoli interessanti

  • Le nuove regole sul “redditometro” che agitano il governo(Il Post)

  • Giappone, deficit commerciale aumenta oltre le attese in aprile(Repubblica)

  • Gas russo in Italia, crollano i flussi: da Mosca ora arriva solo il 5% dell’import (nel 2021 era il 35%)(Corriere della Sera)

  • FMI, economia italiana si è ripresa da shock ma prospettive future sono modeste(La Stampa)

💭 La lettura lunga della settimana

Dazi e sussidi, sono parole, concetti, che stanno tornando alla ribalta da circa un decennio a questa parte.

Alla luce di ciò è lecito chiedersi se la risposta degli Stati abbia un fondamento in relazione alle tensioni geopolitiche e ai ruoli di potenza regionale che determinate realtà statali ricoprono.

L’OCPI tratta la questione in maniera più approfondita!

👨🏻‍🏫 Il Grafico della settimana 

Il petrolio, per quanto le rinnovabili stiano acquisendo sempre più peso, è ancora centrale al fine di non fermare il sistema produttivo mondiale, tanto che il consumo di questo, negli ultimi anni sta aumentando costantemente, eccezion fatta per il 2020, con il generale stop delle attività produttive derivante dalle misure emergenziali anti-covid.

Vuoi un consiglio su una Newsletter top da seguire? Dai un’occhiata a questa:

il Punto5 minuti per capire economia e attualità senza giri di parole

Ti è piaciuta la newsletter di oggi?

Diccelo con un voto!

Login o Iscriviti per partecipare ai sondaggi.

  • Ti hanno inoltrato questa mail? Clicca qui per iscriverti gratuitamente!

  • Newsletter a cura di Augusto Palombo