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Italia, spesa pubblica, PNRR ed Europa
Buongiorno! Io sono Ale e questa è dipende, la newsletter che ogni venerdì risolve tutti i tuoi dubbi sull'economia (per davvero!).
Di cosa parleremo oggi?

L’argomento che tratteremo oggi riguarda la cara e vecchia spesa pubblica (e i suoi problemi…)
Ma prima facciamo un passo indietro: la legge di bilancio relativa al 2023 prevede una spesa pubblica di poco inferiore ai €1.200 miliardi, così suddivisi:

Come si vede dal grafico, la spesa corrente è indubbiamente quella preponderante, e (purtroppo) offre pochi margini di manovra per un possibile risparmio pubblico.
Ragionando in termini assoluti, il dato è ancora più di impatto, con questo valore che ammonta a più di €630 miliardi…
Non sono spicci nemmeno le spese per gli interessi, che raggiungono ben €80 miliardi l’anno.
Quadro macroeconomico avverso e spesa pubblica elevata: un brutto mix
Il quadro economico va tenuto in considerazione (specialmente per il nostro Paese), dato che il 6,85% della spesa pubblica è allocata per il pagamento degli interessi sul debito pubblico.
La situazione del nostro Paese la conosciamo bene, ma giusto per fare un recap, le problematiche che inficiano la performance e reputazione italiana a livello internazionale sono:
⬆️ Debito crescente
📊 Tassi di interesse elevati
❌ Deficit consistente
⏰ Patto di Stabilità e Crescita incombente
È più che comprensibile che i primi tre elementi elencati siano crescenti, dato il contesto storico degli anni appena trascorsi.
Lo Stato si è fatto carico del potenziale fallimento del suo tessuto produttivo, cercando di aiutarlo attraverso una spesa pubblica elevata, che difficilmente sarebbe stata possibile senza un ricorso massiccio all’indebitamento.
A ciò si aggiungono i tassi di interesse, che, almeno per quanto riguarda il breve periodo, si terranno elevati. Questo perché la BCE, in ottemperanza al suo mandato di stabilità dei prezzi, farà di tutto per riportare l’inflazione a livelli compatibili con la crescita economica.
Il Patto di Stabilità e Crescita, attualmente sospeso, è in fase di rinegoziazione, e si sta cercando di modificarlo in maniera tale da concedere più flessibilità ai Paesi del Sud Europa.
E in tutto questo ci mettiamo di mezzo il PNRR
L’Unione Europea, viste le fragilità strutturali del nostro Paese e il contesto economico avverso, vincola l’erogazione dei fondi del PNRR ad un miglioramento strutturale del nostro Sistema-Paese.
Il motivo? Evitare spese in settori poco produttivi o “remunerativi” in termini occupazionali e di competitività.
L’Europa vuole che i fondi del PNRR rilancino l’economia italiana, rendendola dinamica, competitiva e soprattutto solida, capace di essere resiliente agli shock esterni che negli ultimi tre anni si sono fatti sempre più forti ed imprevedibili.
E dal momento che €68,8 miliardi su un totale di oltre €190 miliardi saranno a fondo perduto (= non dovranno essere restituiti) l’UE vuole assicurarsi che questi vengano spesi in maniera efficiente ed efficace.

Nel dettaglio, si può notare come le risorse di questo enorme piano di ripresa si indirizzino verso settori strategici, in grado di dare un contributo sostanziale alla produttività italiana e conseguentemente alla crescita economica.

Compatibilmente all’erogazione dei fondi, si richiede poi un taglio deciso della spesa pubblica ed un aumento delle entrate, così da rendere il Paese finanziariamente più solido.
Il Mef ha indicato che seguirà queste linee guida, diminuendo in modo importante la spesa pubblica, ed in particolar modo la spesa corrente, che ci si aspetta scenda dell’8% nei prossimi due anni.
In maniera speculare, le entrate dovranno aumentare, consentendo così un risparmio pubblico ed un minore ricorso all’indebitamento (aumento atteso del 3%)
Ma cosa possiamo fare per tagliare la spesa pubblica?
Le misure sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles (e di Roma) per tagliare la spesa pubblica sono le seguenti:
⬇️ Riduzione del deficit
✅ Utilizzare a pieno i fondi del PNRR
⚡️ Riduzione ed eliminazione nel 2024 dei sussidi alle imprese sulle bollette energetiche
👍🏻 Mantenimento della progressività del sistema tributario
🏠 Allineamento dei valori catastali degli immobili ai valori reali
Ricordiamoci che tutte queste opzioni sono prese in considerazione perché, i conti pubblici italiani sono particolarmente fragili…
Rimane imperativo attuare un politica fiscale parsimoniosa ed implementare un risparmio pubblico atto alla diminuzione del deficit e dell’enorme debito che supera il 140% del rapporto debito/PIL.
Ehi Ale, qual è la tua opinione?
Vuoi saperne di più e comprendere meglio questa vicenda economica di primaria importanza per il nostro Paese?
Beh, dipende tutto da te!
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L’opinione diretta del vostro Ale.conomista!
Esiste un livello “giusto” di spesa pubblica?
Attualmente siamo secondi in Europa in termini di spesa pubblica in rapporto al PIL (57%). In prima posizione c’è la Francia con il 58%, mentre la media europea si attesta attorno ad un 50%.

Questo vuol dire che siamo una realtà economica che dipende moooolto dall’intervento statale nell’economia. Di per sé questo non è un male, e dipende dipende da svariate ragioni politiche e storico-sociali.
Vito Tanzi (autore di “Global spending in the 20th century”), afferma che la spesa pubblica dovrebbe aggirarsi attorno al 30% del PIL, portando come esempio le privatizzazioni avvenute in Nuova Zelanda (in particolare sul lato pensionistico della spesa pubblica) e dando spunti molto interessanti riguardo la situazione attuale italiana e l’INPS.
Ma facciamo alcune considerazioni…
Ricordiamoci sempre che è più facile aumentare la spesa pubblica piuttosto che tagliarla… e questo per ovvi motivi elettorali.
Consideriamo però anche l’effetto spiazzamento che può verificarsi nel caso di un aumento della spesa pubblica a seguito di uno shock esogeno (aka esterno), quale ad esempio la recente pandemia.
Ciò che accade è che gli operatori economici si abituano ad una spesa pubblica più elevata e diventano propensi a finanziarla attraverso un’imposizione fiscale maggiore.
Quindi, un aumento temporaneo della spesa pubblica (anche se a seguito di uno shock esogeno) può risultare in un aumento permanente, sia della stessa spesa pubblica che della conseguente imposizione fiscale!
Il vero problema dell’Italia non è la spesa pubblica elevata in rapporto al Pil!
La questione è più facilmente comprensibile dal seguente grafico:

Dal grafico è possibile vedere come tra la curva blu (uscite) sia sempre significativamente superiore a quella arancione (entrate). E questo perché in Italia abbiamo un sistematico deficit di bilancio.
È un vero e proprio cane che si morde la coda: il problema più grande è che, avendo un debito pubblico molto elevato, paghiamo molti interessi... e per coprire questi interessi andiamo a fare deficit, alimentando così un circolo vizioso senza fine.
E possiamo aggiungere un altro pezzo di puzzle. Guardate questo grafico:

Dal grafico si vede come prima della pandemia l’Italia abbia mantenuto un livello di spesa pubblica fisso nel tempo, mentre gli altri Paesi europei, attraverso una gestione dei conti pubblici più oculata, abbiano diminuito l’incidenza di quest’ultima (tramite politiche di aumento della pressione fiscale o di stimolo del PIL).
Da dopo la pandemia la spesa pubblica italiana rimane significativamente più elevata di quella del 2011 di circa un 15% in più, mentre gli altri Stati sono riusciti a far scendere tale rapporto.
Quindi cosa dovremmo fare?
La prima cosa che verrebbe in mente da fare sarebbe aumentare le entrate, attraverso una maggiore tassazione.
Se però la spesa pubblica può essere aumentata senza troppi problemi, così non è per le tasse, per le quali gli operatori economici presentano un determinato livello di tolleranza.
A cosa serve il PNRR e perché è problematico per noi?
Il nocciolo della questione però è come spendiamo i soldi. La maggior parte della spesa pubblica è indirizzata verso la spesa corrente, che di per sé è improduttiva, mentre è bassa quella che genera crescita (cioè gli investimenti in conto capitale).
Su questo fronte interviene il PNRR, che si basa essenzialmente su due punti:
❌ Riforme…
💰 …e Investimenti
Le prime riguardano le riforme strutturali inerenti la concorrenza, la burocrazia e il fisco (colpevoli di tenere molto a freno il sistema produttivo italiano), mentre i secondi sono molto più complessi da trattare.
Infatti, se è vero che siamo il Paese europeo che ha ottenuto la somma più ingente dei finanziamenti, è altrettanto vero che siamo l’unico ad aver accettato il 100% sia dei contributi a fondo perduto che non.
E qui è necessario fare un’importante precisazione.
Se è vero che il tasso di interesse su questi prestiti è più basso di quello di mercato, e ciò rende quindi conveniente prendere queste risorse, allo stesso tempo c’è bisogno di progetti sottostanti su cui investire in grado di aumentare la nostra produttività e competitività…
…altrimenti, nonostante il costo inferiore, stiamo solo ingigantendo un debito già di per sé molto elevato.
Infine, dobbiamo specificare che i finanziamenti a fondo perduto (a dispetto del nome) non sono propriamente esenti da costi, ma verranno finanziati con un maggiore trasferimento nei prossimi anni verso l’Unione Europea.
Prendere i soldi è un conto, spenderli è un altro
Il problema principale di una così grande massa di risorse da dover investire entro il 2026 è che si devono avere le strutture atte a recepire e gestire quelle risorse.
E questo sta creando problemi sotto vari punti di vista.
Alcuni componenti dei partiti di maggioranza, nonostante le successive smentite del Governo, hanno affermato come ci si debba tenere pronti a prendere in considerazione la rinuncia ad alcuni fondi del PNRR, proprio a causa dell’inesistenza di strutture capaci fisicamente di gestire una quantità così grande di risorse.
A riprova di questo, negli ultimi anni abbiamo speso meno della metà dei fondi europei, mostrando incapacità nella gestione di risorse utili allo sviluppo economico.
Qui si giocano varie partite, perché se non investiamo ora nella ripresa, con le preziose risorse del PNRR quando lo faremo?
D’altro canto, se non esistono le strutture ed i progetti per l’utilizzo di questi fondi, potrebbe aver senso rivedere parte del piano.
Va considerato comunque il fatto che stiamo giocando una partita importante riguardante la credibilità del nostro Paese, perché il Governo non può mostrarsi incapace di spendere.
Al limite, dovrà trovare un compromesso per utilizzare quei fondi e allungarne la validità oltre il termine prefissato.
Non è una situazione da prendere sottogamba: in campo c’è gran parte del nostro futuro… e bisogna stare attenti e dare un importante segnale di credibilità.
Se ci dimostreremo (come nostro solito) poco capaci nella gestione di queste risorse finanziarie, beh allora i mercati ci “svaluteranno” ancora di più, rendendo il nostro percorso di riassetto economico ancor più difficile.
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Newsletter a cura di Augusto Palombo